Può essere un prato da coltivare, un pezzo di terra su cui costruire, un appartamento da abitare o la casa dove fare famiglia. Questi i campi di interesse, tutti estremamente pratici, di un common intention constructive trust, in Cina i "信託法 "/"信託". Nulla a che vedere con fondi fiduciari, investitori o istituzioni finanziarie, come il termine trust potrebbe indurre a pensare. Si tratta piuttosto di patti sul diritto di proprietà , da concludere, anche solo in forza della parola, nel contesto domestico e affettivo: tra parenti, comuni eredi di una proprietà, tra coniugi, fidanzati e anche tra conviventi.

Perché in Cina, come nei paesi di diritto anglosassone, anche solo una promessa o un impegno verbale possono acquisire il valore di titoli sulla compartecipazione di un bene. E ciò indipendentemente dalla registrazione scritta e formale del possesso.

I casi emblematici in Hong Kong

I casi di specie non mancano. E su queste controversie sono stati chiamati a decidere i tribunali di Hong Kong e del Regno Unito.

Nella pittoresca penisola di Sai Kung, affacciata sulla baia hongkonghese di Tai Long Wan, per esempio, si è aperto un contenzioso tra due fratelli – un maschio e una femmina – entrambi formalmente eredi di un appezzamento appartenuto al bisnonno, defunto nel 1934. Il giovane ne rivendicava però il pieno diritto derivato da accordi verbali risalenti agli anni '70 del '900, conclusi dal suo stesso padre con i suoi fratelli, zii dei due consanguinei. Grazie a questa intesa, proprio lui e nessun altro avrebbe dovuto prendersi cura di quella terra e farla fruttare, in cambio della sua completa proprietà . Del resto, proprio facendo affidamento su questa comune intenzione, lui su questo bene ci aveva già investito tempo e parte del suo patrimonio, anche erigendo un edificio a un piano e locali di servizio. Un complesso di cui si sentiva di vantare l'esclusivo possesso, in contrasto con le pretese della sorella.

Sempre a Hong Kong si è consumata la controversia tra una ex coppia di sposi. Il marito aveva acquistato qui trent'anni prima un appartamento a suo nome. Appartamento che era poi divenuto la dimora familiare, quando la moglie lo aveva raggiunto dalla Cina continentale. Alla richiesta della consorte di cointestare il bene, l'uomo aveva opposto un generico rifiuto, motivato dall'inutilità di sottoporsi a elevate spese notarili, stante la volontà sostanziale di condividere il bene. Una intenzione che però non era stata confermata al momento del divorzio. Da cui le contromisure prese dalla donna.

La terza vicenda vede protagonisti due conviventi, prossimi sposi. Per ospitare la futura moglie, lui aveva acquistato una casa a suo nome, con la promessa di però di cointestarla al raggiungimento del ventunesimo anno di età della ragazza. Considerando anche sua l'abitazione, la donna, pur senza impegnare denaro proprio, si era però prodigata nell'apportarvi migliorie, sia negli interni sia in giardino. Opere di cui, in sede di successiva separazione, ha poi rivendicato un riconoscimento in termini di quote di proprietà .

In ultimo i dissensi in una coppia, di cui lei, nei primi anni di convivenza, risultava ancora legalmente unita a un altro uomo. Proprio a causa di questi ingombranti legami, l'abitazione dei due era stata acquistata intestandola, di comune accordo, solo a lui. Tutto in attesa che si concludessero le pratiche di divorzio. Peccato però che la comproprietà non sia mai stata formalizzata. Cosa che ha cagionato l'azione di rivalsa della signora, decisa a ottenere il riconoscimento del possesso di metà dell'appartamento.

Il diritto a rivendicare il proprio interesse su un bene

La lezione è chiara. Sia o meno intestatario nei termini di legge, un individuo ha tutto il diritto a reclamare il proprio interesse, in tutto o in parte, su una proprietà . E ciò in virtù di una promessa anche verbale o di una condotta che possa far dedurre, sia pure implicitamente, la presenza di tali accordi. Va da sé che il ricorrente deve poter dimostrare di avere "investito" su questa intenzione, con denaro o con un impegno personale rivolto alla cura o al miglioramento del bene in questione.

Il contributo all'acquisto di un immobile o la copertura di una sua ipoteca, anche da parte di chi non ne ha titolo formale, è certo determinante per stabilire l'intenzione comune. Altri fattori possono comunque concorrervi, e anche in maniera sostanziale. Per esempio il pagamento delle spese domestiche da parte di un soggetto (che magari non è titolare dell'immobile), per consentire all'altro (che ne è intestatario) di sostenere il mutuo. Questo è già un elemento sufficiente a stabilire una partecipazione, per quanto indiretta, alla piena proprietà . Ed è un sicuro indice di volontà comune.

Quando la controversia arriva all'aula di un tribunale, la Corte, nel valutare le intenzioni delle parti, adotta sempre un approccio "olistico" e globale, considerando tutte le prove rilevanti. (Un criterio utilizzato del resto anche nelle applicazioni della dottrina di "preclusione proprietaria", dove, in caso di insolvenza nei pagamenti delle rate di mutuo, è il creditore ad annettersi la proprietà. Si tratta di un'ipotesi che non è oggetto di approfondimento in questa sede, ma che in futuro potrà essere affrontata).

Il caso Lam Ka Kui Vs Choi Yuen Ling. La sentenza della Corte di Hong Kong

Paradigmatica e chiarificatrice la sentenza emessa dalla Corte di Hong Kong sul caso Lam Ka Kui Vs Choi Yuen Ling [2020] HKCFI 2647; HCA 537/2017 (non rep., 23 ottobre 2020). Il ricorso in questione riguardava una ex coppia di fatto. All'epoca della relazione i due avevano acquistato, con intestazione congiunta, una casa.

All'indomani della separazione, l'uomo, che aveva sostenuto le spese dei depositi e del mutuo, rivendicava per sé l'intera proprietà del bene. Una posizione accolta dalla Corte proprio a partire dal principio di trust costruttivo di intenzione comune. Sulla base delle evidenze, si è ravveduto infatti un accordo o un'intenzione comune che la convenuta avrebbe ricevuto interesse effettivo nella proprietà solo dopo il matrimonio tra le parti. Unione da formalizzare entro la fine del 2014. Ma poiché a nozze si era mai giunti, il titolo della convenuta era da restituire o da trasferire al ricorrente.

Qui il testo del verdetto: "(1) Laddove sia sorto un trust costruttivo con intenzione comune, la proprietà del bene si suddivide in proprietà legale e proprietà effettiva. Il fiduciario detiene il titolo legale sul trust per il beneficiario.

(2) Se si presume che un trust costruttivo sorga sulla base dell'intenzione comune delle parti, è l'intenzione comunemente sostenuta dal proprietario della proprietà e dal ricorrente in merito ai loro interessi benefici condivisi nella proprietà che conta. Il trust è costituito dai tre elementi di (i) l'intenzione comune, (ii) affidamento dannoso del ricorrente sulla loro intenzione comune e (iii) inconciliabilità del proprietario dell'immobile che si discosta da esso.

(3) L'onere di provare ogni elemento dell'intenzione comune, della dipendenza dannosa e dell'inconciliabilità spetta alla persona che cerca di dimostrare che la proprietà effettiva è diversa dalla proprietà legale. Il focus è sull'intenzione delle parti al momento dell'acquisizione del bene. È intrinsecamente più probabile che la condotta contemporanea sia un indicatore affidabile dell'intenzione, che riceva un peso maggiore, rispetto alle parole e alla condotta dopo l'evento.

(4) L'intenzione comune può essere espressa o implicita. Può essere desunta o inferita oggettivamente dal comportamento delle parti. Per una questione di buon senso, è più facile inferire tale intenzione prima dell'acquisizione di una proprietà, il che si traduce in un evidente cambiamento nella proprietà legale (piuttosto che dopo tale acquisizione in cui non vi è alcun cambiamento nella proprietà legale e un cambiamento nella proprietà effettiva non è altrimenti evidente).

(5) In Primecredit Ltd v Yeung Chun Pang Barry [2017] 4 HKLRD 327, §§2.3-2.4, Cheung JA ha identificato due situazioni in cui può sorgere un trust costruttivo con intenzione comune.

(a) La prima si verifica quando, in qualsiasi momento prima dell'acquisizione o eccezionalmente in una data successiva, sia stato raggiunto un accordo, un compromesso o un'intesa tra le parti su come detenere la proprietà in modo vantaggioso. La conclusione di un tale accordo o compromesso può essere basata solo sulla prova di discussioni espresse tra i partner, per quanto imperfettamente ricordate e per quanto imprecise possano essere state le loro condizioni.

(b) La seconda situazione si verifica quando non ci sono prove a sostegno della conclusione di un accordo o di un accordo sulla proprietà effettiva del bene, e il tribunale deve basarsi interamente sulla condotta delle parti sia come base da cui dedurre un'intenzione comune sulla titolarità effettiva dell'immobile e sulla condotta invocata per dar luogo a un trust costruttivo. In tale ipotesi, i contributi diretti al prezzo di acquisto da parte del soggetto che non ne è il legittimo proprietario, sia inizialmente che tramite il pagamento delle rate ipotecarie, giustificheranno prontamente l'inferenza necessaria alla creazione di un trust costruttivo".

Su tutto un dato di fatto, come si evince dalla casistica in esame. Il contesto tipico di un trust costruttivo con intenzione comune è sempre quello domestico/matrimoniale. Dove l'investimento non è mai soltanto economico, ma innanzitutto personale e affettivo. Ciò che è in gioco infatti è proprio il posto dove si decide di vivere. E di comporre, più o meno felicemente, le tessere del proprio destino.

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